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La malattia di Kawasaki è una sindrome sistemica caratterizzata da vasculiti ricorrenti, ovvero infiammazione delle arterie di medio piccolo calibro in tutto l’organismo.

La sindrome di Kawasaki colpisce i neonati ed i bambini tra 1 anno ed 8 anni di età: i sintomi sono febbre prolungata, esantema, infiammazione delle mucose, linfoadenopatie e congiuntivite.

Le arterie maggiormente colpite dalla vasculite sono le coronarie, ovvero i vasi che nutrono il miocardio.

Il 20% dei pazienti affetti da sindrome di Kawasaki, se non trattato, rischia un grave danno cardiaco che si manifesta con insufficienza cardiaca, miocardite acuta, aritmie, endocardite e pericardite; un altro rischio importante è rappresentano dal formarsi di aneurismi delle coronarie, un ingrossamento patologico del vaso che potrebbe rompersi improvvisamente causando infarto.

 La malattia tende a progredire per stadi.

 Il primo sintomo ad apparire è la febbre, di almeno 5 giorni, seguita da letargia, irritabilità e dolore addominale colico, segni che possono essere confusi con una sindrome influenzale; appaiono poi congiuntivite, eruzioni cutanee eritematoso/maculari sul tronco e regione perineale, iperemia faringea, lingua “a fragola”.

In seguito, possono manifestarsi altri sintomi come lieve edema e desquamazione cutanea con guarigione spontanea, ma anche linfadenopatia cervicale dolente e, nei casi più gravi, sintomi cardiaci.

Altri organi colpiti dalla sindrome sono i reni, il pancreas, le alte vie respiratorie, le mucose ed i linfonodi.

La sindrome di Kawasaki è la prima causa di patologia cardiaca nei bambini.

In presenza dei sintomi sopracitati, bisogna immediatamente sospettare la sindrome ed eseguire esami mirati per confermarne la presenza.

Le cause della sindrome sono sconosciute e probabilmente includono sia fattori genetici, sia fattori ambientali scatenanti; non esiste alcuna cura definitiva, ma le terapie a base di immunoglobuline o somministrazione di aspirina possono migliorare considerevolmente la prognosi ed evitare la malattia coronarica, che rappresenta la causa della morte di molti pazienti.

Una volta scongiurato il danno cardiaco, le prognosi dei bambini affetti da sindrome di Kawasaki è generalmente buona e la mortalità è al di sotto dell’1%.

Alcuni studi basati sulle manifestazioni cliniche e sull’epidemiologia hanno permesso di ipotizzare che la causa della sindrome di Kawasaki possa essere una risposta immunitaria anomala ad un’infezione probabilmente virale che, in soggetti geneticamente predisposti, porta all’attivazione massiccia del sistema immunitario; un’altra possibilità è un meccanismo autoimmune che attacca le arterie.

Gli studi sulla sindrome hanno rivelato che il danno endoteliale cronico aumenta la concentrazione di trombina ed attiva i linfociti, specialmente durante la fase acuta.

Sono stati anche ritrovati anticorpi anti endotelio (AECA), probabilmente generati contro un microrganismo ma in grado di cross reagire verso alcune componenti delle arterie, riconoscendole erroneamente ed attaccandole.

Il legame di tali anticorpi all’endotelio danneggia le arterie ed attiva le cellule immunitarie, con conseguente rilascio di citochine proinfiammatorie che favoriscono l’iper coagulazione del sangue e le lesioni alle arterie coronarie.

L’infiammazione ha quindi un ruolo predominante nella sindrome di Kawasaki: il perdurare delle condizioni proinfiammatorie, causate dall’attacco anticorpale all’endotelio e dalle citochine prodotte dai linfociti, è un fattore prognostico fortemente negativo per i pazienti che ne sono affetti.

La somministrazione di aspirina ai bambini affetti permette di abbassare la manifestazione febbrile, sopprimere l’infiammazione e controllare la coagulazione del sangue impedendo la formazione dei trombi, ma non è esente da rischi: la somministrazione di aspirina nei bambini sotto i 12 anni è solitamente controindicata perché può provocare la sindrome di Reye.

Nei bambini malati di sindrome di Kawasaki il beneficio è ritenuto essere maggiore del rischio, ma eventi avversi sono probabili.

È possibile prescindere dalla somministrazione di FANS ai bambini affetti da sindrome di Kawasaki? Al momento le evidenze mediche non permettono di modificare i protocolli del trattamento, ma in alcuni studi è stato proposto di diminuire il dosaggio dei farmaci antinfiammatori in modo da controllare gli effetti collaterali.

Alcuni integratori naturali, come AHCC, hanno mostrato un effetto antinfiammatorio in vitro ed in trial clinici.

Usato come coadiuvante in numerose terapie, AHCC è un estratto standardizzato di beta glucani di origine naturale, derivato dal micelio del fungo di origine giapponese Lentinula edodes, già noto in medicina tradizionale.

AHCC modula numerose funzioni delle cellule immunitarie, inclusi i linfociti T ed i linfociti Natural Killer che possiedono un importante ruolo difensivo; in particolare AHCC controlla l’eccessiva risposta immunitaria e previene gli effetti collaterali che seguono l’assunzione di FANS e corticosteroidi.

In uno studio, i beta glucani sono stati somministrati ad un modello animale e le analisi hanno dimostrato un aumento della fagocitosi da parte dei linfociti neutrofili e l’attivazione dei linfociti Natural Killer.

Esiste un’ampia letteratura sui beta glucani, universamente descritti come modificatori della risposta biologica: oltre all’attivazione diretta delle cellule immunitarie, i beta glucani contenuti in AHCC potenziano la sintesi e la secrezione di varie citochine che controllano la risposta immunitaria impedendo attivazioni improprie tipiche delle risposte autoimmuni.

Le molecole di AHCC sono in grado di indirizzare l’azione di numerosi composti cellulari prodotti dalle cellule immunitarie, come proteine e polipeptidi dotati di attività antitumorale ed antinfiammatoria.

Il meccanismo d’azione dei beta glucani si basa sul controllo degli effetti negativi dei farmaci antinfiammatori la cui assunzione quindi non va mai interrotta, per non perdere l’azione coadiuvante di AHCC



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