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Durante la stagione estiva del 2018 sono arrivati tristemente agli onori delle cronache, come già successo in passato, gli effetti sulla popolazione della diffusione della malattia West Nile, un’infezione causata da un virus appartenente alla famiglia Flaviviridae, che si trasmette dagli animali all’uomo.

Il fenomeno infettivo da interessato soprattutto alcune zone del Veneto e del Friuli anche se, in passato, sono stati rinvenuti focolai anche in altre zone d’Italia.

Solitamente la malattia è asintomatica, tuttavia alcuni soggetti possono manifestare dei sintomi importanti, come l’encefalite, che può rivelarsi anche mortale.

Ad oggi non esiste una terapia specifica per la malattia di West Nile, anche se studi scientifici mostrano come alcune terapie naturali possano portare la riduzione della carica virale nell’organismo favorendo, insieme ad altre terapie, la guarigione dei soggetti colpiti.

Il virus West Nile Il virus West Nile, che prende in nome dalla località in Uganda dove, negli anni ’30, per primo comparve, è un virus che si trasmette all’essere umano attraverso gli animali.

Il contagio tra persone è quindi impossibile, fatto salvo il caso, non frequente, in cui vi sia un contatto diretto tra il sangue di due soggetti umani, di cui uno infetto.

La patologia può colpire diverse specie animali.

Si manifesta spesso nei cavalli e in animali selvatici, benchè ad essere maggiormente interessati dal contagio siano soprattutto gli uccelli, in particolare quelli migratori, che possono trasportare il virus da un capo all’altro del pianeta.

Proprio a causa delle migrazioni e della diffusione delle zanzare nella stagione estiva e autunnale, si tratta di una malattia ad andamento stagionale.

A trasmettere il virus, infatti,  oltre agli uccelli, sono anche le zanzare del genere Culex, da non confondere con le zanzare tigre, che appartengono invece al genere Aedes.

L’uomo contrae l’infezione tramite la puntura di una zanzara e il tempo di incubazione, ovvero il tempo che intercorre tra la puntura e la manifestazione dei sintomi, varia da due giorni a due settimane.

I sintomi comprendono principalmente il mal di testa, che solitamente è il più distintivo, la febbre, la nausea, il vomito, l’ingrossamento dei linfonodi e dolori muscolari diffusi.

In alcuni casi i sintomi sono lievi perché l’organismo riesce a tenere sotto controllo la malattia, mentre in altri possono essere più gravi fino a richiedere l’immediata ospedalizzazione del paziente per scongiurarne la morte.

Per il virus West Nile non esiste un vaccino, per cui l’unica prevenzione efficace è ridurre al minimo l’esposizione alle punture di zanzara, attraverso l’uso di repellenti e di zanzariere, nonché evitando di lasciare acqua stagnante intorno all’abitazione.

Vista la difficoltà di attuare una vera e propria prevenzione e l’assenza di una vaccino, può essere necessario ricorrere ad una terapia.

La più utilizzata prevede la somministrazione di un supporto del sistema immunitario e, nei casi più gravi, un’infusione di liquidi per via endovenosa per sorreggere le funzioni vitali anche, se necessario, con la respirazione assistita.

Possono rendersi necessari anche gli antibiotici, per evitare infezioni secondarie di tipo batterico. 

L’AHCC nella terapia del virus West Nile Poiché la malattia è molto diffusa in tutto il mondo, dall’(Europa all’Africa e dall’Asia all’America, risulta importante l’attività di ricerca volta all’individuazione di nuove terapie.

A tal proposito sono stati pubblicati diversi studi che dimostrano come l’AHCC, una macromolecola estratta dal fungo Lentinula edodes, sia un interessante alleato per la riduzione della carica virale del virus West Nile e per attenuare i sintomi dell’infezione, specialmente nei casi più gravi.

Gli studi scientifici a disposizione sono stati condotti sui murini che, come altri mammiferi, possono sviluppare la malattia.

 I risultati sono molto incoraggianti.

In particolare l’AHCC ha ridotto sia la mortalità che la carica virale nei murini infetti (cioè nel momento in cui la diffusione del virus nel sangue era massima).

Nei murini trattati è stata mostrata una produzione superiore sia delle IgM che delle IgG, immunoglobuline che intervengono nelle infezioni virali, e anche un aumento in numero dei linfociti T, che sembrano essere i responsabili della riduzione della carica virale.

I dati riportati dagli studi suggeriscono che la dose utilizzata nel murino (600 mg/Kg) possa essere utilizzata anche nell’uomo, per ridurre la carica virale e, con essa, i sintomi della patologia.

L’azione di AHCC può essere utile sia dal punto di vista terapeutico, nei soggetti che sono già interessati dalla malattia, sia dal punto di vista preventivo, nelle persone non infette che abitano in aree endemiche e particolarmente a rischio per la malattia di West Nile.

 L’AHCC non ha effetti collaterali, e ne è indicata l’assunzione in in associazione alle terapie mediche prescritte.

L’assunzione della molecola, unita a forme di prevenzione efficaci verso le punture di zanzara, mette al riparo dall’infezione i soggetti che sono a rischio sia per ragioni geografiche che fisiche, legate ad un’immunodeficienza, oppure perché appartenenti a categorie più esposte come gli anziani e i bambini.



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