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Il fegato è uno degli organi più importanti del nostro organismo, indispensabile perché unico (non doppio come i reni) e insostituibile perché avente funzioni specifiche non derogabili ad altri organi.

È uno degli organi più resistenti e, sebbene esistano delle patologie acute del fegato, la maggior parte delle malattie che lo riguardano sono malattie croniche.

Le malattie epatiche, solitamente a decorso lento, vanno curate subito per preservare la capacità rigenerativa di quest’organo e le altre funzioni.

In questo articolo vedremo come si evolve una malattia cronica epatica e come, stando a quanto dimostrato da diversi studi clinici, l’evoluzione possa essere limitata dall’AHCC.

L’evoluzione delle malattie croniche del fegato

Quando una malattia, infettiva o metabolica, colpisce cronicamente il fegato, le sue cellule vengono danneggiate.

Il fegato ha una struttura particolare caratterizzata da unità anatomiche di base, chiamate lobuli epatici, circondate da (poco) tessuto connettivo, che le circonda come una rete.

Quando le cellule epatiche vengono danneggiate, il tessuto connettivo aumenta, perché cresce più velocemente dei lobuli epatici; in questo modo, il tessuto connettivo toglie loro spazio e si manifesta la fibrosi epatica.

Se la situazione non viene risolta, il connettivo aumenta così tanto rispetto a quello epatico che le cellule non riescono più a crescere e vengono letteralmente “strozzate” dal tessuto connettivo: a questo punto si parla di cirrosi epatica e la cui terapia è il trapianto di fegato.

È per questo motivo è essenziale intervenire sulle malattie epatiche prima che raggiungano lo stadio di cirrosi.

Nelle malattie infettive, i farmaci tradizionali riescono a limitare l’azione del virus che le causa, ma non sempre sono sufficienti.

Un aiuto importante, come dimostrato da vari studi clinici, e attivo contro HBV e HCV, rispettivamente i virus dell’epatite B e epatite C nell’uomo, e proviene dalla molecola chiamata AHCC, o Active Hexose Correlated Compound, molecola estratta da una specie fungina che cresce naturalmente in Giappone.

AHCC e malattie infettive epatiche

Le malattie epatiche contro le quali l’AHCC, in base agli studi attuali, ha dimostrato di essere efficace sono le malattie infettive del fegato, principalmente le epatiti B e C.

Per prima cosa, l’AHCC ha dimostrato di avere effetti rigenerativi sul tessuto epatico, indipendentemente dall’agente che ne causa il danno (purché sia presente la fibrosi).

Lo ha mostrato uno studio effettuato in laboratorio su topi trattati cronicamente con tetracloruro di carbonio, una sostanza tossica che danneggia, se somministrata ripetutamente, fegato e reni e che è servita per replicare la situazione di fibrosi causata dai virus dell’epatite umana (poiché questi virus non colpiscono i topi).

La somministrazione di AHCC ha dimostrato un effetto epatoprotettivo della molecola: i topi che avevano assunto AHCC, infatti, hanno riportato un danno agli epatociti e ai lobuli epatici limitato rispetto ai topi che non lo avevano assunto.

Passando agli studi sull’uomo, ne è stato effettuato uno su 32 persone affette da epatite B.

Questi soggetti hanno assunto 3 grammi di AHCC e, attraverso dei prelievi venosi, sono stati monitorati il valore HBe (antigene dell’epatite B, ovvero la presenza del virus) e il valore degli anticorpi anti HBe (gli anticorpi che lo combattono).

Con l’assunzione di AHCC, rispetto alla fase in cui i pazienti assumevano solo i farmaci, l’antigene è progressivamente diminuito, mentre gli anticorpi sono progressivamente aumentati.

Questo risultato è in linea con altri studi sull’AHCC che dimostrano la sua importanza come stimolante del sistema immunitario, e indica come questa molecola abbia un effetto concreto sul sistema immunitario e nell’eliminazione del patogeno.

Uno studio simile è stato effettuato, sempre sull’uomo, riguardo all’epatite C.

In questo caso, alcuni medici asiatici hanno dimostrato come un quantitativo di 3 6 grammi di AHCC al giorno riesca a ridurre il danno epatico, misurato come presenza degli enzimi epatici nel sangue.

Quando un patogeno (in questo caso il virus) danneggia le cellule epatiche, si liberano enzimi nel sangue, facendone così aumentare il valore; la diminuzione del numero di enzimi derivante dalla somministrazione di AHCC dimostra quindi come le cellule epatiche siano state protette dal danno causato dal virus, prevenendo così l’avanzare della fibrosi e il possibile raggiungimento della cirrosi.

Oltre a questo effetto immediato, è stato dimostrato come l’assunzione di AHCC per sei mesi porti ad una riduzione della carica virale nel sangue dell’80%, nei casi di epatite C.

Questi studi clinici sono interessanti e permettono di capire che la molecola ha un effetto attivo sui pazienti affetti da malattie epatiche.

Nel caso dell’epatite B, l’effetto maggiore sarebbe quello relativo all’immunostimolazione, mentre nel caso dell’epatite C sarebbe la funzione epatoprotettrice, la stessa evidenziata nello studio effettuato sui topi.

Al momento sono richiesti altri studi clinici specifici per capire, precisamente, il meccanismo di azione dell’AHCC in pazienti affetti da queste malattie, ma già da questi studi è possibile comprendere come la molecola porti, a tutti gli effetti, dei vantaggi concreti nella cura di queste malattie infettive croniche del fegato.

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