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La chemioterapia, intesa come terapia farmacologica volta al trattamento delle neoplasie, è ad oggi una delle poche terapie che la scienza medica ha a disposizione per combattere i tumori.

In alcuni casi la chemioterapia si affianca a terapie fisiche (radioterapia) o chirurgiche, che sono più mirate ma non sempre praticabili, a causa di particolari localizzazioni del tumore o della natura della neoplasia stessa (non tutti i tumori sono delle masse).

La terapia farmacologica, quindi, spesso rimane l’unica modalità di contrasto dello sviluppo dei tumori.

Purtroppo, però, la chemioterapia provoca l’insorgenza di numerosi effetti collaterali che minano la qualità della vita del paziente.

Gli effetti avversi delle terapie sono difficilmente evitabili, a causa della natura stessa del farmaco: a differenza di un antibiotico, che attacca miratamente la parete cellulare dei batteri che il nostro organismo riconosce come estranei, il farmaco antitumorale attacca indistintamente le cellule sane e quelle cancerogene le quali, comunque, appartengono al nostro organismo.

Salvo piccole modifiche, come ad esempio la replicazione incontrollata, le cellule cancerogene sono in tutto e per tutto uguali alle nostre cellule sane.

I chemioterapici agiscono limitando la replicazione cellulare, ovvero impedendo al tumore di crescere; questa azione, però, interessa anche anche in parti del corpo non interessate dal tumore.

Un esempio è rappresentato dalle cellule del bulbo pilifero, che a causa dell’assunzione dei farmaci per combattere il tumore, subiscono anch’esse un’inibizione della loro replicazione che porta alla mancata crescita del pelo e, di conseguenza, alla perdita dei capelli durante la terapia.

Accanto al lavoro di ricerca per la messa a punto di farmaci sempre più efficaci e specifici per la lotta ai tumori, esiste un filone che mira a individuare nuove molecole in grado di arginare questi effetti collaterali, migliorando la vita di chi è costretto a sottoporsi a chemioterapia.

Tra le molecole che hanno dimostrato maggiore efficacia in tal senso, vi è l’AHCC.

I benefici dell’assunzione di AHCC durante la chemioterapia L’AHCC, o Active Hexose Correlated Compound, è una molecola estratta dal fungo giapponese Shiitake che ha una comprovata attività immunostimolante: in altre parole, migliora lo stato del sistema immunitario normalmente debilitato dalla chemioterapia, favorendo un innalzamento della qualità della vita del paziente oncologico.

Ma quali sono gli effetti collaterali che la molecola riesce a contrastare e, soprattutto, come ci riesce? Analizziamo di seguito i principali benefici correlati all’assunzione di un integratore alimentare contenente l’AHCC.

Prevenire la caduta dei capelli

Uno dei benefici principali dell’assunzione dell’AHCC è la prevenzione dell’alopecia.

La perdita dei capelli nel paziente oncologico in trattamento chemioterapico avviene principalmente perché le cellule del bulbo pilifero non sono in grado, da sole, di resistere al danno causato dalle sostanze chimiche e ciò, solitamente, a causa di un indebolimento del sistema immunitario.

Con l’assunzione di AHCC si può limitare il danno ottenendo un innalzamento delle difese e rendendo più difficile per il farmaco raggiungere il bulbo pilifero e, quindi, riuscire a bloccare la replicazione cellulare.

Proteggere il midollo osseo

La mielosoppressione è uno degli effetti collaterali più importanti dei farmaci chemioterapici.

Il midollo osseo è l’organo deputato alla produzione di globuli rossi e di globuli bianchi, quindi un organo in attiva moltiplicazione, che il farmaco inibisce.

In questo caso l’AHCC agisce in modo esattamente opposto al chemioterapico: mentre il farmaco blocca la replicazione cellulare, l’integratore nutre i precursori delle cellule rosse e bianche migliorando così la loro riproduzione.

Il risultato è che i due effetti si controbilanciano a vicenda e il numero di cellule bianche circolanti può aumentare addirittura del 25 30%, nel paziente sottoposto a chemioterapia che assume l’AHCC, rispetto a quello che non lo assume.

Considerato che la chemioterapia induce, solitamente, un’immunodepressione (simile a quella causata da malattie infettive come HIV), l’AHCC è utile per contrastarla e per proteggere il paziente dall’insorgenza di malattie infettive.

Contenere i danni epatici

Anche il fegato trae giovamento dall’assunzione della molecola, principalmente perché che si tratta di una sostanza nutritiva per le cellule.

Il fegato, infatti, è un po’ il “medico” dell’organismo, la cui funzione principale è di detossificare i farmaci, inviarli nell’intestino tramite la bile e nelle urine, per ottenerne l’eliminazione.

Il chemioterapico è un farmaco potente che richiede al fegato molto risorse quindi, al termine della terapia, esso risulta danneggiato.

 A livello epatico l’AHCC agisce nutrendo gli epatociti, mantenendoli in buone condizioni per poter continuare a svolgere il loro importante lavoro.

Gli studi hanno dimostrato che l’assunzione di AHCC abbassa il livello di enzimi epatici circolanti, che sono indice diretto dei danni epatici.

Prevenire la nausea e il vomito

Tra i sintomi più frequenti sperimentati dai pazienti in terapia oncologica vi sono la nausea e il vomito.

Questi due sintomi sono direttamente correlati all’inefficienza del sistema immunitario, causata dal danno al midollo osseo che abbiamo descritto sopra: se con l’assunzione di AHCC il danno al midollo osseo viene limitato, anche la nausea e il vomito, che sono meccanismi di difesa specifici che il corpo mette in atto nel momento in cui c’è qualcosa che non si riesce a combattere in altro modo (in questo caso il farmaco), tendono a ridursi fino, addirittura, a scomparire.

La scomparsa proprio di questi due sintomi costituisce uno dei principali indici di miglioramento della qualità della vita nel paziente, mostrando, ancora una volta, come l’AHCC possa essere un valido supporto da affiancare alle principali chemioterapie.



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